Per lungo tempo considerata introvabile e persino oggetto di contrabbando, la struncatura è la pasta tipica della Piana di Gioia Tauro, una regione ricca di oliveti e alberi di agrumi, pervasa dai profumi mutevoli delle stagioni. Introdotta intorno all’800 dai pastai amalfitani, la struncatura divenne popolare in questo angolo del profondo sud, dove trovarono un luogo adatto per i loro affari. Italianizzata in “stroncatura” dal dialetto reggino, questa pasta, simile alle linguine e lunga circa 40 cm, è caratterizzata dal suo colore scuro, consistenza ruvida, callosità e un sapore leggermente acido.

La ricetta per esaltare la struncatura
La ricetta che esalta al meglio la struncatura, ormai un classico per intenditori, prevede un condimento a base di olio, aglio, peperoncino, filetti di alici e mollica di pane tostato. Alcuni intenditori aggiungono olive nere, prezzemolo e pecorino grattugiato per esagerare la delizia. Altre varianti includono abbinamenti con lo stocco o la ‘nduja e pomodorini. La struncatura ha anche trovato spazio in piatti gourmet, come l’accostamento a tartare di tonno e crema di cipolle.
La storia e il contrabbando
La storia della struncatura era, però, avvolta da un’ombra di contrabbando. Originariamente destinata alle famiglie più povere, la tradizione narra che veniva prodotta raccogliendo da terra i residui di farina e crusca derivati dalla molitura del grano, impastandoli insieme. In un certo momento, la struncatura divenne un cibo per maiali e cavalli, e per motivi igienici fu vietato il suo consumo umano. Così, questo eccellente prodotto finì nei retrobottega dei negozi, riservato solo a clienti selezionati e fidati.
Piatto gourmet calabrese
Negli ultimi tempi, la struncatura ha conosciuto una rinascita ed è diventata un piatto gourmet. Ritornata sul mercato ufficiale, è prodotta da alcuni pastifici artigianali che utilizzano grani e ingredienti di alta qualità.
Il panorama culinario calabrese offre anche altre prelibatezze, come la Dromesat, nota come la ‘pasta dei poveri’ della tradizione arbereshe, preparata con farina bianca, semola, sale e benedetta con l’acqua e il mazzo di origano secco. Scialatielli, Firrazzuli e Maccarruni sono altri piatti derivati dai Fileja, una pasta cava e carnosa preparata con farina, acqua e sale, attorcigliata intorno a una bacchetta chiamata danacu. I Caladreddi, una sorta di maltagliato chiuso, sono fatti con pasta all’uovo e si abbinano bene a sughi robusti come carne di capra. La ‘pasta chjina’, o pasta al forno calabrese, è ripiena di polpettine, uova sode, soppressata, caciocavallo, pecorino, basilico e parmigiano. Infine, i Cordeddi, conosciuti anche come Cordelle, sono spirali di pasta fatti con farina di segale, uovo e latte, tipici dell’area grecanica.f