Il pangiallo romano è un antico dolce natalizio che affonda le sue radici nella storia millenaria di Roma. E si distingue per la sua forma tonda e il caratteristico colore giallo. Nel vasto panorama dei dolci tradizionali natalizi, si riscontra un comune denominatore: la combinazione di miele e frutta secca. Si tratta di ingredienti naturali e disponibili in varie regioni, che portavano dolcezza e gusto prima ancora della diffusione dello zucchero.
Il pangiallo doveva favorire il ritorno della bella stagione
Il pangiallo, carico di simbolismo propiziatorio, trae la sua ispirazione dalle antiche festività pagane romane. Infatti il riferimento è ai Saturnalia, celebrate intorno al solstizio d’inverno, coincidente con la notte più lunga dell’anno. Questa tradizione ha persistito nel tempo e si è integrata con la celebrazione del Sol Invictus. Una festa fissata dall’imperatore Aureliano nella notte che corrisponde all’attuale Vigilia di Natale.
La preparazione di un dolce giallo e rotondo, propiziatorio al ritorno della bella stagione e della luce solare, sembra risalire a quasi duemila anni fa. Una ricetta simile al pangiallo compare nel “De re coquinaria” di Marco Savio Apicio, gastronomo dell’Antica Roma, che suggerisce una miscela di miele, vino, uva passita, ruta, pinoli, noci e farina d’orzo.
L’origine del nome
Il nome “pangiallo” ha diverse interpretazioni, alcune legate alle spezie dell’impasto, altre alla superficie spennellata di uovo battuto o a una glassa a base di farina e zafferano. Originariamente, il pangiallo consisteva semplicemente in miele scaldato, un po’ di farina e frutta secca, come mandorle, noci e pinoli. Nel corso del tempo, si sono aggiunti ingredienti come canditi, cedro, uva passa, fichi secchi e una miscela di spezie natalizie, come chiodi di garofano, cannella e noce moscata. L’aggiunta di zafferano, un tempo prezioso e oggi comune nella copertura, conferisce al dolce il suo caratteristico colore giallo. Negli ultimi secoli, il pangiallo ha subito alcune variazioni, con l’introduzione di ingredienti come cacao e cioccolato, che lo rendono più ricco e opulento rispetto alla sua forma originale. La tradizione del pangiallo si estende anche oltre i confini di Roma, raggiungendo regioni come la Ciociaria, l’Umbria e la Toscana, con la versione viterbese che incorpora addirittura un tocco di pepe, avvicinandosi al pampepato.












